La Repubblica Napoletana
La Repubblica Partenopea, una e indivisibile, nasce il 23 gennaio 1799.
Il primo atto è la costituzione di un comitato i cui membri sono scelti direttamente dal generale francese Championnet.
Napoli e il Vesuvio
Viene eletto un governo provvisorio, in attesa di un governo definitivo approvato dalla Francia.
Il primo Presidente è Carlo Lauberg, già organizzatore delle società patriottiche, seguito dopo poco da Ignazio Ciaia.
Al nuovo governo prendono parte Melchiorre Delfico, Domenico Forges Davanzati, Domenico Cirillo e Mario Pagano, esponenti dell'Illuminismo Meridionale.
La Commissione legislativa si mette all'opera per redigere la Costituzione, il cui autore principale è Mario Pagano, e la Dichiarazione dei Diritti e Doveri del cittadino, del popolo e dei suoi rappresentanti. Viene composto l'Inno della Repubblica con le parole di Luigi Rossi e la musica di Domenico Cimarosa.
Ai contributi offerti dagli intellettuali napoletani si aggiungono anche quelli della nobiltà più illuminata.
L'Assemblea Legislativa si articola in 6 comitati (centrale, militare, legislazione, polizia generale, finanza , amministrazione interna).
Il 2 febbraio 1799 viene pubblicato il primo numero del Monitore Napoletano, giornale ufficiale del governo provvisorio, il cui obiettivo è quello di "trasformare la plebe in popolo".
Alla direzione del giornale vi è Eleonora Pimentel Fonseca. Ma il giornale non ha molta fortuna a causa del diffuso analfabetismo sia in città che in provincia.
Entrata dei francesi a Napoli
Viene previsto un decentramento amministrativo e la città viene divisa in sei cantoni. Si cambia nome a tutte le piazze e anche al Palazzo Reale viene dato il nome di Palazzo Nazionale.
Tuttavia la situazione non è delle più facili da gestire: la nuova repubblica ha bisogno, per tenersi in piedi, delle armi dei francesi e non riesce a coinvolgere il popolo, ancora profondamente affezionato al Re.
Palazzo Reale - esterni
Le riforme che i repubblicani votano non hanno come conseguenza un miglioramento delle condizioni di vita del popolo. La politica sociale è un fallimento e, se viene abolita la feudalità, questo provvedimento non viene praticamente applicato.
Sono condannati e allontanati i funzionari regi; gli ufficiali e le truppe borboniche devono cercare scampo nelle campagne.
I francesi finiscono col dimostrarsi dei dominatori e non dei liberatori: la Francia impone tasse di guerra, destituisce lo Championnet per il suo atteggiamento troppo benevolo e accondiscendente nei confronti dei napoletani, e, inviato un nuovo rappresentante, dichiara "patrimonio della Francia" tutti i beni della corona, i palazzi, le regge, i boschi di caccia, le opere d'arte, la fabbrica della porcellana di Capodimonte, i banchi, i beni dei monasteri e persino i tesori archeologici ancora nascosti sotto il suolo di Pompei ed Ercolano.
I giacobini napoletani cercano di opporsi ma con scarso successo.
Nel frattempo, in Sicilia il Re Ferdinando decide la riconquista del regno e incarica di questo il cardinale Fabrizio Ruffo, nominandolo Vicario Generale del Regno.
Munito di tali poteri, il prelato sbarca il 7 febbraio in Calabria e, inalberato lo stendardo della Santa Fede (una bandiera bianca con lo stemma borbonico da un lato e la croce dall'altro), riesce a fare leva sugli animi semplici dei contadini. Da ogni parte della regione accorrono volontari per la causa del Re, identificata con la "causa di Dio".
Palazzo reale - interni
Ruffo emana un editto con il quale si promette il perdono a tutti i rivoluzionari pentiti e man mano che le sue truppe avanzano molte città e paesi, che avevano aderito alla causa repubblicana, si stringono attorno alla sua bandiera.
In poco tempo il cardinale e le sue truppe sono alle porte di Napoli.
Intanto, le notizie delle sconfitte subite dalle truppe francesi in Lombardia nella guerra contro gli Austriaci costringono i Francesi a sgomberare tutto il regno.
I repubblicani sono soli contro le forze del cardinale Ruffo.
Il 13 giugno 1799, dopo una disperata resistenza al ponte della Maddalena, viene preso il Forte di Vigliena.
Il 14 giugno cade anche il Forte del Carmine: la guarnigione viene massacrata. A poco a poco cadono tutti gli altri forti della città e i patrioti, scampati alle stragi operate dalle bande sanfediste e dai "lazzaroni" insorti, accettano l'onorevole capitolazione offerta loro da Ruffo.
Castel dell'Ovo |
Le condizioni di resa sono tradite e violate da Horatio Nelson e dal sovrano che, giunto a Napoli il 9 luglio, spinto dalla sete di vendetta della Regina Maria Carolina, ne appoggia l'operato. Nonostante il tentativo del cardinale Ruffo di difendere i patti di resa, il Re dà l'avvio ad una repressione durissima, una delle pagine più buie e disonorevoli della storia. È la fine della Repubblica Napoletana. |
I patrioti napoletani sono processati e giudicati sommariamente dalle giunte di Stato nominate da Ferdinando IV, che ammonisce a procedere "lesto lesto" alle decapitazioni ed alle impiccagioni per non far spazientire la folla nell'attesa.
Più di cento repubblicani sono condannati a morte e l'elenco comprende tutti i settori della società civile: giovani studenti e professori dell'Università, nobili e plebei, laici ed ecclesiastici, avvocati e medici, militari e magistrati, notai e letterati.
Tra questi, i più bei nomi dellintellettualità napoletana (Mario Pagano, Eleonora Pimentel de Fonseca, Luisa Sanfelice, Ignazio Ciaia, Domenico Cirillo, Vincenzo Russo, Luigi Rossi), rappresentanti della nobiltà partenopea (Gennaro Serra di Cassano, il conte Ruvo Ettore Carafa, il principe Colonna, Mario e Ferdinando Pignatelli), ecclesiatici (Michele Natale, vescovo di Vico Equense, che aveva lavorato al Catechismo Repubblicano, il sacerdote Francesco Conforti, teologo di corte e professore di storia nell'Università, il sacerdote Ignazio Falconieri, professore di eloquenza e rettore del seminario di Nola, Andrea Serrao, vescovo di Potenza, ) e lammiraglio Francesco Caracciolo, uno dei primi ad essere barbaramente giustiziato da Horatio Nelson che nutriva per lui un odio particolare.
Molti storici del tempo e non hanno analizzato le vicende della Rivoluzione Napoletana. Tra questi Vincenzo Cuoco e Benedetto Croce, che così scrive:
"Nella storia é grandissima ció che potrebbe dirsi l'efficacia dell'esperimento non riuscito, specie quando vi si aggiunga la consacrazione di un'eroica caduta. E quale tentativo fallito ebbe piú feconde conseguenze della Repubblica napoletana del Novantanove? Essa serví a creare una tradizione rivoluzionaria e l'educazione dell'esempio nell'Italia meridionale.
Cosí, per effetto del sacrificio e delle illusioni dei patrioti, la Repubblica del Novantanove, che per sè stessa non sarebbe stata altro che un aneddoto, assurse alla solenne dignità di avvenimento storico."